sabato 29 agosto 2015

CAPITANO CRIMINALE: STORIA DI ALEXANDRE VILLAPLANE

di Gian Maria Campedelli (per seguirci su Facebook clicca QUI)



“Voglio tutto. Mi prendo ogni cosa”. Dev’essere stato un pensiero ricorrente nella vita di Alexandre Villaplane. Uno di quei pensieri che ti tormentano già di primo mattino, quando non sai se la tua giornata è appena iniziata o sta soltanto finendo. E tutto è ciò che ha avuto: vorticosamente, rapidamente. Una vita in burrasca, nel periodo della storia recente più rocambolesco, spinoso e tragico.


Per fortunate collisioni del destino, Alexandre entra in scena sul palco della storia come calciatore. Uno dei primi, quando ancora il professionismo non esisteva e i club erano costretti a trovare laboriosi stratagemmi per poter pagare i loro calciatori. Alexandre non è solo un calciatore, a dirla tutta: Alexandre è il capitano carismatico che guida la nazionale francese ai primi Mondiali della Storia. Roccioso, rude, un combattente. Ma dalla storica vittoria col Messico all’esordio alla kermesse del 1930 alle bische di Parigi, dalla gloria del campo alla fucilazione, la discesa è breve. E la salita è bagnata da sangue e viltà.

Ossessionato dal denaro, dal fascino oscuro del potere, Alexandre viene travolto dal suo carisma e la sua vita, breve e intensa come una fiammata, lo benedice come calciatore e lo saluta per l’ultima volta come criminale: in mezzo, per Villaplane, francese d’Algeria, il primo africano a rappresentare la nazionale, c’è di tutto. La bella vita, le scommesse, i cavalli, il contrabbando, il collaborazionismo con i francesi. La sua esistenza scorre come cognac lungo i madidi seni d’una puttana, di quelle che frequenta nelle zone d’ombra d’una Francia in torbido fermento.

Smette presto di essere una questione di calcio. Il talento è solo un mezzo. Alexandre vuole tutto, ogni cosa. E per avere tutto non v’è altra via che votare la propria vita all’idealtipo romantico del fuorilegge senza sonno, dell’uomo in fuga, dell’uomo che emerge dal buio per poi tuffarcisi dentro di nuovo, sfiorando il fondo ancora e ancora. Non c'è tempo per la gloria nella legalità. La legalità non è meritocratica, è l'illegalità che premia l'audacia ed il talento. Villaplane, perno della prima Francia mondiale, uomo attorno a cui ruota il gioco rabbioso d’inizio Novecento, finisce per essere la forza centrifuga della sua stessa vita terrena. La forza che lo allontana dall’equilibrio, che lo spinge verso gli allibratori, i furti, le prigioni, Vichy, la fine.

L’immagine romantica del fuorilegge dannato lascia presto spazio all’efferatezza di un uomo che vuole rimanere ritto sul piano inclinato della Storia. E per non cadere è disposto a tutto. Persino ad uccidere, in barba ad ogni bagliore d’ideale.Viene reclutato in carcere da un manipolo di uomini al servizio dei nazisti, la cosiddetta  “Gestapo francese”. Ma Villaplane non diventa collaborazionista perché crede nel nazionalsocialismo: lo fa per mantenersi vivo, per istinto. Il collaborazionismo è il passepartout per dare sfogo alla sua spietatezza.

La Francia ai Mondiali del 1930. Villaplane ha
il mazzo di fiori in mano.
Tuttavia arriva presto il salato conto da pagare: nella tracotante fuga dalla moralità, calcola male la traiettoria della Storia: pensa che scegliere le SS voglia dire garantirsi un posto al sole nella Francia che rinascerà dalle ceneri della guerra. Si vuole prendere tutto, impugnando un fucile o un coltello, senza badare al colore della divisa o all'età della carne: basta solo che si vinca. Come in campo, quando era ancora un calciatore. I sentimenti sono per gli invertebrati e chi si lascia corrompere dai valori verrà piegato dalla durezza di un altro uomo più affamato. Per Villaplane è tutto una scommessa, in cerca della fortuna. Della gloria.

Ogni guaio è l’ultimo guaio. Ma non è bravo come lo era in campo. Lì, da centromediano metodista, doveva scommettere e vincere sulle traiettorie, sui movimenti, doveva prevedere dove sarebbe finito il pallone, dove avrebbe virato il suo avversario. Nella vita, tuttavia, Villaplane scommette regolarmente su ogni dimensione del proprio avvenire e, regolarmente, perde. Scontando di giorno in giorno prezzi sempre più alti.

Il piano s’inclina ancora, Parigi viene liberata. Il banco vince. Villaplane cade prigioniero. Prova a salvarsi rinnegando la divisa che ha indossato, calpestando vilmente le proprie scelte, componendo una cacofonica lagna che è l’inno demoniaco del suo ultimo tradimento.

Nessuno è disposto a credere alle sue parole: per inseguire il suo sogno famelico è stato disposto a saccheggiare, stuprare, uccidere, coprendosi il viso nell’ultima ora, supplicando fiducia, grazia, perdono.


Villaplane rinnega Villaplane. Ma non basta più. Una pallottola lo strappa alla vita il 26 dicembre 1944. E’ l’ultimo boato d’un’esistenza rapida, proprio come una fucilata. L’ultima scommessa d’una vita consumata in fretta fra fango, alcoolici, puttane, proiettili e tradimenti. Senza via d'uscita alcuna. 

Au revoir, Capitano criminale. 

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