mercoledì 6 maggio 2015

STORIA D'UN LOTTATORE DI SUMO DAI PIEDI FATATI: STEVE MCNULTY

di Gianmarco Pacione (per seguirci su fb clicca qui)


"Sumo" con i colori del Luton Town 

“Another pint, please…” 

Puoi vederlo seduto, ogni sera, con le maniche della camicia arrotolate disordinatamente. I pub sono sempre gli stessi: il Bricklayers Arms ed il White House

Gomiti appoggiati al bancone, denti leggermente ingialliti e schiuma sparsa sulle labbra. 

Steve McNulty parla di calcio, scolandosi l’ennesima lager, attorniato da decine d’ammaliati ascoltatori. 


"Pesante" duello aereo
Luton dista un lancio lungo dal cuore di Londra. Qui gli abitanti sono famosi, da secoli, per l’inarrestabile produzione di cappelli: per questo i sudditi del Luton Town Fc vengono chiamati “Hatters”

I cappellai, da due stagioni a questa parte, stanno venerando un misterioso eroe di culto: cardinale della loro retroguardia. 

Steve McNulty ha le forme d’un van, ed effettivamente, Steve, fino a qualche anno fa, guidava grossi furgoni per vivere. Erano i tempi bui, quelli dell’apparente addio al calcio, maturati negli abissi d’una carriera mai cominciata. 

“Le persone mi guardavano e capivo che non avrei avuto una seconda possibilità.” 

McNulty cresce a Liverpool, ulula cori a Goodison Park per il suo amato Everton, ma entra nell’Academy degli odiati reds. All'ombra di Gerrard e compagni, arriva a capitanare la squadra under 19: non ancora ventenne ha già i capelli grigi ed una collina al posto della pancia. 

Così, osservatori ed addetti ai lavori snobbano Steve, non scommettendo su quell’ammiraglio pasciuto dai piedi raffinatissimi. I “no” di Blackpool e Bury sembrano il definitivo rintocco funereo al suo rapporto con il football. 

“Mi hanno fatto odiare il calcio, così ho iniziato a lavorare, portando pacchi a bordo d’un van.”

Espulsione diretta contro lo York City
Eppure McNulty non smette di allacciarsi gli scarpini, continuando ad essere il massiccio leader di sempre, calcando i terreni tutt’altro che nobili della Northern Premier League

“Sei costretto a giocare in campi disastrosi, dove devi cambiarti in spogliatoi di sorta, anche in cabine. Non ho mai disprezzato quella categoria, lì ho ricominciato ad amare il calcio. Ai giovani viene dato tutto troppo presto, dovrebbero essere mandati nelle leghe più basse per far loro aprire gli occhi.” 

McNulty gli occhi li apre, pur senza perdere chili, cominciando una rapida scalata tra i gradini più bassi della scala futbolista. A 24 anni, nel 2007, approda al Barrow, ancora come semiprofessionista. Poi, nel 2009, il passaggio al Fleetwood Town per la cifra record di 17mila sterline: esborso storico per le casse del patron Andrew Pilley. Sull’erba dell’Highbury di Fleetwood, con la fascia al braccio, McNulty conduce i suoi ad una storica promozione in League Two, figlia di 103 punti totali. Accarezzato il professionismo, però, l’orco dai piedi incantati s’infortuna e viene relegato in panchina.

Nella neve con la maglia del LTFC
McNulty, allora, migra tra i pub di Luton, alla corte dei cappellai. Gli Hatters lo amano fin dalla prima uscita palla al piede, dal primo appoggio di petto al portiere. Percepiscono immediatamente il carisma di quell’ormone infagottato in una maglia troppo piccola: smaniano per i suoi perentori colpi di testa ed i lenti dribbling felpati. 

“Sumo”, lo chiamano scherzosamente, per quel corpo da lottatore asiatico. 

McNulty diventa, in appena due anni, un idolo cittadino. 

“Ho sempre avuto un ottimo rapporto con i tifosi. Al termine della giornata loro pagano, con soldi duramente guadagnati, per vederci giocare: legarmi a loro è il minimo che possa fare. Quando abbiamo vinto il campionato, la stagione scorsa, ho deciso di portare tutti i miei compagni al Bricklayers Arms ed al White House: per bere una pinta in mezzo alla nostra gente, a chi ci aveva sostenuto dagli spalti per un’intera stagione.” 

La storia di “Sumo” e dei suoi ammiratori prosegue, ancora oggi, tra i banconi e le gradinate di Kenilworth Road. 

Speriamo resti nascosta sotto i berretti di Luton. Non si sa mai, in fondo, tra qualche anno o giorno, potremmo vederle anche noi quelle maniche arrotolate disordinatamente. 

Magari sentiremo la moquette scricchiolare ed un omone, quasi canuto, parlare di football e braciole: solo allora capiremo, sì, che quello è il pub giusto, e che quella che staremo per ordinare sarà una delle pinte più gustose di sempre. 

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