martedì 21 ottobre 2014

CI AVEVANO DETTO CHE ERA UN GIOCO, SOLTANTO UN GIOCO...

di Gian Maria Campedelli (per seguirci su Facebook clicca QUI)


"Il calcio ha significato troppo per me, e continua a significare troppe cose" - Paul Ashworth, da "Febbre a 90°", 1997.

Guarda la sfera rotolare impazzita, schizzare a pelo d'erba, mossa dal caso e dominata dal genio, e le migliaia di persone accalcate e sfrenate tutt'attorno: ambasciatori di uno sfrenato amore gridano al vento le loro laiche preghiere. Ammira il cielo, pare colorarsi d'odio, disperazione e sconforto, e poi esplodere in lampi di luce accompagnato da boati senza fine. Scruta i bambini, stretti nelle loro giacche addosso ai loro papà: segnano la continuità biologica e sociale di una favola senza fine, e nelle loro lacrime ribolle atavica la passione che con loro nasce e a loro sopravvive, in un immaginario denso di miti, sporco di fango e sangue, tanto impossibile da afferrare quanto impossibile da negare. 

sabato 18 ottobre 2014

DRAGONI E TSU'CHU, IL CALCIO È MADE IN CHINA.

di Gianmarco Pacione (per seguirci su Fb clicca qui)

Una scena di Tsu'Chu, a pochi passi da un banchetto d'appassionati


Il made in China come brillante originalità. Ipotesi anacronistica.

Eppure la culla sono loro, ne narrano i dragoni, ce lo consiglia la storia. Le prime forme di fùtbol si perdono nel rosso sorgo delle sterminate campagne asiatiche, peregrinano seguendo orme sferiche, per arrivare alla dinastia Tsin tra il 255 ed il 206 a.C..

Immagine in cui compaiono anche le porte
Lo chiamavano Tsu'Chu, poetico sonetto sulle rive del fiume Giallo. Tradotto letteralmente "calciare una palla di cuoio con i piedi".

Era disciplina da Hetemaj e Bolzoni, praticata come arte ed allenamento militare. Occhi a mandorla rapiti da un complesso incantesimo: le porte formate da due canne di bambù ed una piccola rete, lunga non più di 40 centimetri e posta a 9 metri da terra.

Altezze vertiginose per piedi raffinati, orientali piume d'uccelli. 

Il Tsu'Chu affascina. Tra leggende di monaci buddisti e maghi taoisti, troviamo quella di Liu Bang, fondatore della dinastia Han e tipico fanatico da gradinata est. Mecenate di talenti, fece costruire un campo a pochi metri dal suo palazzo, chiamando a corte i personali menestrelli: musicanti dai piedi dolci e dalle note di cuoio.

Da Liu a Wudi, grande conquistatore dell'Asia centrale tra il 156 e l'87 a.C., che premiò i propri successi invitando a gran voce tutti i migliori giocatori nella capitale. Imperatore, instancabile spettatore e, si dice, insospettabile praticante. 

Nessun Alino Diamanti o violinista Gilardino, lustri, secoli d'anonimi campioni vestiti da gonfie tuniche.

Potrebbero alzare la voce da Pechino, potrebbero mirare e calciare fino in Inghilterra, urlando "Sì, il vostro più puro tesoro, in realtà, è made in China.".
Tsu'Chu all'ombra d'un albero

   

sabato 11 ottobre 2014

QUANDO IL MAHATMA FONDAVA SQUADRE DI CALCIO

di Gianmarco Pacione (per seguirci su Fb clicca qui)

1913. Gandhi (cerchiato) con due club da lui fondati.

Chissà se sarebbero vibrati i baffi del Mahatma.
Del Piero è sbarcato in India, nella terra del grande Bapu dalle lenti a cerchio. Il Pinturicchio di Gianni Agnelli indosserà a breve, per la prima volta, la maglia delle "dinamo" di Delhi.
Osservandolo avrebbe incrociato le braccia, Gandhi, pensando nostalgicamente a quel suo primo amore.

Erano gl'inizi del '900, il corpo era sempre esile, scarno contraltare alla ricca mente. Capello fine ed un completo usato spesso se non sempre, incorniciato da cravatte mai pretenziose. Il giovane Mohandas Karamchand Gandhi si spostava nel profondo Sudafrica, apprendista avvocato e osservatore di popoli.
Nasceva in questi anni la teoria dell'ahimsa (la nonviolenza), sbocciava giorno dopo giorno, davanti ad un Paese spaccato a metà dalla discriminazione razziale.

Il giovane avvocato Gandhi
Divampa qui, sulle rive dell'oceano Indiano, una scintilla che era già scattata qualche anno prima, nella terra dei leoni del football: quello puro. In Inghilterra Gandhi aveva assaporato, per la prima volta, il soffice rimbalzo della sfera sul prato verde. 
Con i piedi non andava troppo bene, ma il pensiero volava tra calzoni sudici e scarpette, tra pali improvvisati ed imprecazioni.

"Ciò che colpì principalmente Gandhi, fu la nozione di nobiltà del calcio.
A quei tempi l'idea di squadra oscurava completamente quella di fuoriclasse, 
e questo lo ammaliava profondamente."   
 
Le parole di P. Govindasamy (presidente della SAIFA) si specchiano in quello che è stato, segretamente, un inaspettato attivista della pelota.

Risale ai primi anni del secolo, difatti, la fondazione, da parte del Mahatma, di ben 3 compagini futboliste: divise tra Durban, Pretoria e Johannesburg.

Denominatore comune era il nome: tutte le squadre si chiamavano Passive Resisters Football Club. Un grido forte, richiamo deciso delle masse, con connotati politico-sociali di sublime caratura.

Gandhi ed il potere del calcio, il calcio ed il carisma di Gandhi. Sodalizio spirituale.

Si narra che, alle gare di queste tre società, arrivassero in migliaia di adepti del football e dell'impegno civile. Immedesimati in quei ragazzi non stipendiati, semplici amatori, che calciavano rudemente verso la porta.
Folle magnetizzate dai pamphlets e dalle arringhe di quel giovane avvocato d'origine indiana, che alzava voce e pesanti invettive durante l'intervallo.   

Nessuno schiamazzo con Ilaria D'Amico, nessuna giacca gialla scaramantica, nessun esonero lampo.

Un dirigente illuminato. Pronto a raccogliere soldi per le famiglie dei perseguitati, pronto ad elevare socialmente ciò che più meravigliava il suo forte intelletto e la sua anima candida.

Sarebbero vibrati i baffi del Mahatma, eccome se l'avrebbero fatto. Impercettibilmente, però, sempre riflessivi anche davanti ad una pennellata di Alex: con i passi contati, con la barriera superata.