venerdì 7 marzo 2014

L'EPICA E I DEMONI: STORIA DI GARRINCHA (1^ PARTE)

di Gian Maria Campedelli (per seguirci su Facebook clicca QUI)


Ci sono storie di uomini che sono vere e proprie burrasche. Impossibile afferrarle, comprenderle, farle del tutto proprie. Vanno solamente gustate, per il puro piacere di ascoltare, di immaginare. Ci sono state tante figure mitologiche che hanno reso il pallone un ideale più che uno sport, ma solo una soltanto, forse, racchiude in se stessa l'inferno e il paradiso, da un estremo all'altro, senza soluzione di continuità, tutti gli eccessi giù, in un breve e intenso sorso.

Garrincha è il calcio. E lo è senza discussione, non me ne vogliate. Non è mai esistito un uomo che abbia saputo essere, allo stesso tempo, nella stessa breve vita, un genio del futebol, un idolo per il proprio popolo, un vizioso depravato, l'alcolizzato demone di se stesso, un emarginato, uno spettro e ancora un'eterna leggenda. Tutto in un sorso, dalla nascita alla giovane morte; più che una vita, una folle corsa verso il baratro costellata di incantevoli dribbling, grandi risate e abissali depressioni, in sottofondo le voci sgraziate di chi l'ha sedotto, amato e poi abbandonato, lasciando che quel corpo così piccolo e fragile venisse spinto verso la fine, trascinato di peso da quell'anima troppo tormentata ed ingombrante. 

Garrincha fuma festeggiando la vittoria
 nel Mondiale del 1962.
Nasce solamente "Manoel", senza cognome registrato all'anagrafe: il padre se ne dimentica, e persino l'inizio della storia lascia un po' di amaro in bocca. Diventerà "Garrincha" (piccolo passero che popolava la regione del Pau Grande, in Brasile) già a quattro anni: sarà una sorella ad affibbiargli quel nome, ravvisando la somiglianza con quel volatile piccolo e un po' sgraziato. Quattro anni per Garrincha valgono almeno otto dei nostri: cresce come un animale selvatico, senza regole, senza soldi, senza vestiti, Manoel a dieci anni è già tabagista. Incontra precocemente il perverso piacere del vizio e non se ne libererà più.

Non è un bambino come tutti. Ci sono infatti in lui due grandi differenze rispetto agli altri figli selvaggi del Pau Grande. Prima di tutto le menomazioni fisiche che affliggono il suo corpicino (spina dorsale deviata, strabismo, varismo al ginocchio destro e valgismo al sinistro ed, infine, una gamba più corta dell'altra di sei centimetri), menomazioni che, per i medici, lo rendono a tutti gli effetti un invalido e, in secondo luogo, quella straordinaria naturalezza con cui tratta il pallone. Quando cresci a piedi nudi nel profondo Brasile degli anni Trenta impari prima a palleggiare e poi a mangiare. Garrincha a mangiare forse non impara proprio, la malnutrizione lo rende un mucchietto d'ossa neanche troppo ben assemblate, ma palleggia e dribbla che è un piacere. Non è come gli altri, bastano un paio d'occhi sufficientemente funzionanti e qualcosa che somigli ad un pallone, e chiunque ne avrebbe immediatamente prova. Quel mostriciattolo zoppo e storto sembra avere in quelle gambe deformi l'arte finissima e subdola dell'incanto.

Le gambe di Garrincha. 
Allergico alla scuola (che frequenterà fino alla terza media), Mané comincerà a lavorare in una fabbrica tessile della regione. Proprio lì farà anche la sua prima esperienza in una squadra di calcio (con lo Sport Club Pau Grande), e sarà proprio la sua dote nel giocare a pallone che gli permetterà di mantenere il posto di lavoro nonostante il comportamento non propriamente irreprensibile (è di questo periodo l'inizio dell'amicizia a sfondo alcoolico - che durerà per tutta la vita- con Swing e Pincel, due colleghi). Garrincha è un turbinio di vizi, insofferenza, indisciplina. Più avanti negli anni uno psicologo incaricato dalla Federazione Brasiliana di testare le attitudini intellettive dei giocatori alla vigilia del Mondiale del 1958 bollerà la sua psiche come quella di un bimbo di quattro anni. Diventi Garrincha a quell'età e ci rimani per tutta la vita, che dolce condanna. E anche se dal bacino in su non sei Einstein, quello che fanno le tue gambe e i tuoi piedi lo sanno solo gli dei. 

Il giovanissimo Mané, nel frattempo, continua a giocare per il semplice e purissimo piacere di giocare: libero, straordinariamente anarchico e incontenibile. Ben presto il suo nome comincia a circolare fra gli appassionati di futebol della regione. Garrincha non passa inosservato, ovunque vada lascia le sue inconfondibili tracce e la gente rimane stupita ad ammirare. Eppure, nonostante questo, al piccolo trequartista vengono chiuse in faccia le porte del professionismo: i provini al Vasco da Gama (non viene ammesso perché non in possesso di un paio di scarpe da calcio), al Sao Cristòvao e alla Fluminense hanno esito negativo. Le pressioni di amici e parenti per farlo diventare un vero calciatore vengono vanificate dai rifiuti delle società e dall'atteggiamento indifferente di Garrincha verso i soldi e la fama. Stava lì, fra i suoi piedi, l'unica sua ragione di vita. Ed è un filo rosso che lo accompagnerà per tutta la carriera, dal dilettantismo al tetto del mondo: giocare per ridere, per la bellezza dell'attimo e dell'invenzione, dell'idea, del sapore del gesto, per l'estetica dell'eleganza e del talento, nessun materialismo, nessuna velleità, fino all'autodistruzione del proprio Io.

La gioia in maglia Botafogo
Ed ecco invece il punto di rottura nella vita del piccolo selvaggio che al provino al Vasco da Gama avevano additato come "storpio": Mané vuole lasciar perdere i sogni di gloria di chi gli sta attorno, vuole continuare a seguire zoppicando la sua strada selvaggia e silenziosa. Poi, un giorno, tutto cambia. Il destino manda il suo ignaro emissario perché sia fatta la Storia: l'avventura di Garrincha nel mondo del professionismo ha il suo germe durante una partita dello Sport Club Pau Grande, arbitrata per l'occasione da Araty Viana, ex giocatore del Botafogo. Viana si accorge di lui - e non potrebbe essere altrimenti - e lo invita a fare un provino con il club bianconero di Rio. Da lì in poi, da sommersa favola popolare, la sua vita si trasformerà in leggenda. Tra centinaia di tunnel, fumo denso e litri di cachaça. 

(Continua...)

Nessun commento:

Posta un commento