sabato 5 ottobre 2013

PROIETTILI DI CUOIO. RITRATTO DI CALCIO SIRIANO.






di Gianmarco Pacione
Scorcio delle rovine di Damasco durante una partitella tra bambini
Poc-poc-poc. Le macerie respirano, vibrano. Bashar è seduto, solo. Lancia scanditamente parti di soffitto, lo capisce dal colore dell’intonaco.

La polvere offusca la vista, crea il peggiore dei miraggi. 

Centro del distretto di al-Mezzeh, Damasco, Siria. I colpi vicini non straniscono Bashar. Ha poco più di dodici anni, abbandonato ai suoi pensieri come ai cenci che veste, per inerzia, da mesi ormai.

Tre ragazzini siriani palleggiano
Guerra civile, guerra tremenda. La distesa di detriti è una compatta, funerea coperta per Haytam e Samir. Erano i suoi due migliori amici. Erano. 

Sirene, urla, tutto lontanamente vicino.

Bashar è scalzo, poggia attivo i piedi su una vecchia pelota, è l’unico ricordo rimasto di Haytam e Samir. È rotolata fuori quasi per caso, quasi per volontà altrui, dal grottesco tonfo di tonnellate di cemento.

Gli sporchi piedi continuano ad accarezzare il delicato cuoio.

Al-Mezzeh è una zona caldissima, proteste anti-governative alternate a prese di forza dell’esercito, attentati all’aeroporto militare, stragi alla moschea.

Immagine di Nuri Ibish
Il padre del dodicenne è un ribelle, la madre si limita a piangere. Sente le sue lacrime anche in questo istante Bashar, le sente sulla pelle, sulla fronte, sta guardando in alto. “Mamma non piangere, fammi stare qui a giocare ancora un po’ con i miei amici!”. La pioggia inizia a scendere commossa dal cielo di Damasco.

Corre Bashar tra le vie marchiate dai suoi doppi passi, dai sorrisi di bambini dagli occhi colmi di futbol e sparatorie, di vita e morte. Marchi delebili.

La palla si ferma, controllata, docile, sotto un muro sporgente, pericolante. Una targa, decrepita, recita sicura: “Nel 1920, qui, è nato il calcio in Siria”.

Bashar conosce bene la storia di quella partita. Per anni si è affacciato dal balcone immaginando l’epica scena, l’odore spasmodico ed eccitante della ricerca del gol, l’affannoso ululare di tifosi novizi ma pronti. La immaginava dipingendo immagini tra le parole di suo padre; quella era l’unica storia che avrebbe ascoltato per ore, per anni. “Se tutti i politici fossero come Nuri Ibish, la nostra Siria sarebbe un grande Paese.”, si sentiva sempre dire.

Nuri Ibish, la sua foto appena sotto la targa, ingiallita, umilmente fiera in questo deserto umano. Bashar imita la posa, marionetta in un teatro deserto, carica il petto superbo.

Ricco proprietario terriero, politico affermato della prima metà del ‘900, ministro del Gabinetto, pioniere unico del calcio siriano. Apprese regole, fascino e trascendentale armonia durante un viaggio nell’Inghilterra della Grande Guerra. Immediatamente corse a Damasco. Nel 1919 convinse le truppe inglesi ad allenare i suoi compaesani: non alla vita da trincea o a come centrare il bersaglio con maggiore costanza, semplicemente alla magica arte del football.

Il ministro Ibish, secondo da sinistra
Nel 1920 la prima partita, in quello spiazzo su cui ora sta pellegrinando un bambino assente; la vittoria degli artigiani di casa sulle truppe inglesi per 4 a 2, tra migliaia di siriani freddati calorosamente da un Cupido con la sciarpa al collo, con un due aste issato, con una palla impazzita tra piedi burberi ed incoscienti.



Una città unita, uno Stato innamorato irreversibilmente. 

Un re, Faysal I, talmente fiero dei giocatori siriani, da regalare ad ognuno di essi un orologio d’oro.

Luccichii sotto un maglione, distante pochi passi da Bashar. Ancora i piedi sporchi a divertire la pelota, a sollevare l’anima da questa nebbia irregolarmente illusoria, candida e compatta, da quest’etereo terrore mai domo, ammorbante, ormai banale.

Bashar muove il maglione di qualche centimetro, il luccichio aumenta, trascinando con sé, di forza, il battito del cuore. Un orologio d’oro del re Faysal, magari proprio quello di Nuri Ibish. 
Un ribelle supera armato un prato verde




Un proiettile. Un crudo, freddo, ghignante proiettile cullato dalla lana grezza dello scuro maglione.
Bashar carica il destro, il piede spoglio, come tutto il resto. Colpisce la targa, unica luce in queste tenebre. Le rovine vacillano. Mette il proiettile in tasca, abbandona il cuoio nella fanghiglia agonizzante.

Ha scelto, combatterà al fianco di suo padre per Haytam, per Samir, per diventare un giorno come Nuri Ibish e riportare la pace nel suo distretto, nella sua città, nel suo Paese.

Poco distante, proprio dove quella maledetta autobomba ha portato via la sua amata madre, la sua sicura casa, il neo combattente osserva un gruppo di bambini: hanno appena ricominciato a correre ed emozionarsi palla al piede. 

Gli spari sibilano, fischietti non retribuiti, incriticabili.
 
Il cielo è sereno ora, il sole asciuga il volto rigato di Bashar, di tutta al-Mezzeh.

“Tranquilla mamma, al limite piangeremo insieme.”.



Nessun commento:

Posta un commento