lunedì 28 ottobre 2013

DISCRIMINAZIONE TERRITORIALE: IPNOSI PER L'INETTO SUDDITO


di Gian Maria Campedelli (per seguire Parterre su Facebook clicca qui)


Di romantico, in tutto questo polverone, c'è ben poco. Dove vogliono arrivare, chi ha deciso che il calcio in Italia deve morire? Le note suonano gravi, niente armonia, l'amarezza ristagna, la rabbia si annida sotto la pelle di chi vive ancora per difendere passione e appartenenza.

Abete, uomo-simbolo della crociata
anti Ultras in Italia.
Sono settimane di fermento, un fermento figlio di una persecuzione illogica. La persecuzione di istituzioni che nulla hanno compreso di questo gioco, la persecuzione di palazzi e funzionari che vogliono soffocare il nostro Calcio. Discriminazione territoriale, dicono. Un'espressione vuota, artificiosa. Le curve devono chiudere: la culla del male italico va gettata nel fiume sperando che la corrente se la porti via. Ma nessuna corrente può e deve vincere un movimento che, con le sue diversità, deve correre compatto contro un solo nemico: lo Stato. 

Striscione della Curva Sud, casa degli ultras del Milan
Discriminazione territoriale, dicono. Ma sanno, lor signori, che il calcio è discriminazione e conflitto nella sua essenza? Io ho la maglia di un colore, tu di un altro. Rappresentiamo due continenti, due stati, due città, due quartieri diversi. Siamo diversi: io gioco per vincere, per farti perdere, per dimostrare la mia superiorità. Dietro al tema potrebbero venir scomodati filosofi e scienziati, ma non è il caso. Non servono i nomi e le citazioni per rendere veritiero e oggettivo un concetto elementare: se sul campo il calcio è lotta e conflitto, perché mai sugli spalti dovremmo assistere a orde di automi seduti, con lo sguardo fisso a contemplare solo il movimento naturale e imprevedibile di un pallone, come se si stesse a teatro, come se l'emozione finisse lì, con un breve applauso o un cenno di disappunto? Qual è lo scopo? Cartelloni elettronici con su scritto cosa dobbiamo fare? Come negli studi televisivi, quando dopo qualsiasi patetica battuta un omone dietro le telecamere dice agli spettatori inebetiti se è il caso d'indignarsi o applaudire entusiasti. E' quello, signori, il vostro ideale di tifo? E' il modello inglese? Quello composto e compiacente? Tutti seduti e guai a chi si muove? 


Non ve lo permetteremo. Perché non ci arrenderemo ad un calcio imbrigliato nelle catene arrugginite del potere, perché se gli orrendi stadi italiani, colate di cemento armato o arzigogolate strutture prefabbricate d'acciaio che siano, hanno ancora un calore, un fascino, un'anima da difendere questo lo si deve unicamente a chi oggi voi cercate di ammutolire. Il merito non è vostro, non siete voi a pancia piena in tribuna autorità a rendere lo stadio un luogo vivibile. Voi siete il silenzio, voi siete l'ombra. Noi la luce, da sempre.

Vi affannate a capire quali misure prendere per limitare i presunti danni. Gli stadi vanno a pezzi, i calciatori continuano a vendere le partite, l'erba dei campi è sempre meno verde, gli scandali spuntano dal nulla come funghi dopo la pioggia... e il problema siamo noi. Il problema è che sentiamo la puzza se arrivano i napoletani. Il problema è che accendiamo una torcia per colorare la nostra fede, il problema è che fa comodo inventarsi un problema per distogliere l'attenzione dalle macerie fumanti di un sistema in cancrena. 

La Curva Nord interista contro Tosel
e contro le istituzioni.
E sapeste signori quanti pensatori potrebbero accorrere in nostro soccorso anche in questo caso. Li vedo uscire dalla storia, impolverati e barbuti, con bastoni e abiti ottocenteschi, ridicoli costumi del settecento e bianche tuniche greche o romane, li vedo accorrere e invadere le curve, indossando sciarpe e brandendo bandieroni. Li vedo cantare contro Verona, contro Milano, contro Pescara, Napoli, Livorno, ricacciandovi ancor più nell'ombra, nel buio, nel vuoto. 

Alzerete il sedere dalle vostre poltrone, tornerete nelle vostre case, ricoprirete altre cariche. E smetterete di combattere alla fine del vostro mandato: in sostanza voi scomparirete. Noi, piegati, rabbiosi, frustrati, invece, continueremo a lottare. A sostenere che il calcio è bello perché c'è ancora chi urla e che un bambino la prima cosa che guarda appena mette piede in uno stadio siamo noi. Non voi. Non vi si vede, non vi si sente... e allora che cazzo venite a fare qua?

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