martedì 16 luglio 2013

L'ISTANTE ETERNO DI GORDON

di Gian Maria Campedelli (per seguirci su Facebook, clicca QUI)


Gordon, con quel viso pensoso, accigliato, lo sguardo profondo ed indecifrabile, i lineamenti poco britannici e molto sudamericani. Il più grande, l'unico, il nostalgico faro che getta ombre su tutti gli sfortunati successori che la storia ha giustiziato lungo i lustri, fino ad oggi. Atipico fisicamente e non solo. Perché i maestri inglesi hanno sempre avuto una non indifferente mancanza, un vuoto decisivo: il portiere. Il guardiano della rete, colui che, e la metafora in questo caso si presta alla perfezione, ha il compito di difendere i confini, l'ultimo presidio: nessuno prima, nessuno dopo Gordon Banks, il simbolo di un'epoca, di una speranza e, soprattutto, di un trionfo, quello del Mondiale del 1966. Eppure non esiste solo il Banks come parte essenziale di un tutto: esiste il Banks solitario, il protagonista di uno dei duelli individuali più appassionanti e fugaci della Storia. Inutile, a posteriori, ai fini di albi d'oro e trionfi ma imprescindibile, ancora oggi, se si vuol gustare a fondo l'essenza magnetica di questo gioco divino.

Banks in volo in allenamento (fonte: dailymail.co.uk)


Guadalajara, 1970. Il sole brucia il prato verde dello stadio, è ora di pranzo, i Tre Leoni inglesi sfidano il Brasile. E' il meglio che il calcio mondiale possa offrire: i campioni del mondo in carica contro i favoriti, gli eterni favoriti, gli inarrivabili artisti del futebol, capitanati da Pelé e dalla sua lunga schiera di fenomenali destrieri. Niente di meglio. La partita la vinceranno proprio loro, i verdeoro, grazie a un gol, un bellissimo gol, di Jairzinho. Uno a zero, entrambe le squadre supereranno il girone, ma l'Inghilterra verrà comunque eliminata ai quarti. Il Brasile, invece... beh, sappiamo tutti com'è andata a finire. Ma ancora una volta il risultato, a noi cultori del superfluo essenziale, non interessa.

Anzi, di quella memorabile e storica partita, paradossalmente, contano solo pochi secondi. Forse ancora meno. Contano pochi centesimi di secondo. Il Brasile è superiore, in tutto e per tutto, aiutato (o quantomeno non danneggiato) anche dal rovente caldo che poco si sposa con le attitudini degli avversari, ma non solo. I Carioca sono semplicemente una gioiosa e temibile armata senza pietà. Ma nonostante tutto, nonostante tabellini, statistiche e numeri, quel pomeriggio a Guadalajara il protagonista non è nero e non indossa i colori dei favoriti. Non indossa nemmeno l'elegante completino bianco inglese, ma anzi una maglia blu. Si chiama Gordon Banks, di ruolo fa il portiere, il ruolo dell'unicità per eccellenza, e quel pomeriggio a Guadalajara ha inciso il suo nome nella storia, per sempre, autore “della più grande parata del secolo”, trionfatore  incredulo del duello col più grande, O Rei Pelè.


Jairzinho è lanciato sulla corsia di destra, salta Cooper con disinvoltura, ma la palla sembra scorrere fuori, in fallo di fondo. Il numero 7 però ha un sussulto, riesce in un decisivo allungo prima che la sfera termini fuori: crossa al centro, ad occhi chiusi forse, a memoria, con la certezza che là dentro, “in the box”, ci sia pronto qualcuno dei suoi. D'altronde, loro, erano i migliori, e ai migliori riesce sempre tutto, a occhi aperti o chiusi poco importa. Il pallone s'impenna e sembra voler scendere proprio sulla testa di Pelè: il balzo della Perla Nera è da schiacciatore di pallacanestro. Sovrasta il difensore con esplosiva prepotenza, schiaccia il pallone di testa. Lo schiaccia forte, con la rabbia e la fame insaziabile di chi non vuole e non può aver pietà. Banks deve attraversare tutta la porta, dal primo palo difeso in occasione del cross di Jarizinho, fino all'altra estremità, dove è indirizzato il colpo di testa del numero 10 verdeoro. Il pallone, schiacciato a terra, prende ancora più forza e scappa veloce ed apparentemente inesorabile verso la rete, appena sotto la traversa. Sembra. Perchè Gordon compie un gesto che racchiude tutto: istinto, follia, atletismo, agilità, romanticismo, poesia, dramma. Tutto quanto, in qualche centesimo di secondo, a Guadalajara, sotto un cielo bruciato. Si inarca, come un'onda, e con il viso rivolto verso la linea di porta e le gambe verso l'interno del campo riesce a sopraffare il destino. Gli dice no. Dice no a lui e a Pelè, dice che non ci sta. Non crolla, gli costasse anche l'osso del collo, Banks, l'uomo con i lineamenti da indio è un inglese ruvido, uno pronto a tutto per i Tre Leoni. E lo dimostra, improvvisandosi tuffatore olimpionico, salvando il pallone a pochi centimetri dalla riga, a pochi centimetri dall'ennesima prodezza del solito mostro brasiliano. La palla, toccata dai guanti bianchi di Gordon, si impenna, perde velocità, e per un attimo i brasiliani, sicuri che sarebbe entrata, si saranno sentiti sollevati nel vederla ballare a ridosso della riga. “Deve entrare, entrerà, entrerà”. E invece no, lesa maestà. Il pallone si alza e sorvola la traversa, uscendo in calcio d'angolo.

Un fotogramma della "parata del secolo" (fonte:
guardian.co.uk)
Banks si alza, incassa il timido complimento di un suo compagno, e torna a prendere posto sulla riga di porto, lo sguardo basso. La solita camminata un po' ciondolante, la schiena piegata, i capelli che gli cadono sulla fronte abbronzata. Sembra non rendersi conto di ciò che ha appena compiuto. I volti attoniti e sconvolti dei presenti e dei milioni di appassionati di fronte alle televisioni di tutto il mondo. Pelé e i suoi compagni, abituati alle loro prodezze, iniziano a provare un feroce odio, tramutato presto in ammirazione, in un silenzioso inchino di fronte alla giocata più bella e inattesa che quel giorno il mondo potesse desiderare di ammirare.


Sta tutto lì dentro per gli inglesi, eterni orfani di guardiani affidabili, muri inscalfibili, estremi salvatori del Regno. Sta tutto lì, ciò che fu e ciò che venne dopo, prima o poi vi si ritorna sempre. Sta tutto dentro a Guadalajara, a Pelè, a Gordon Banks e al suo balzo. Con il cuore inondato di nostalgia e l'orgoglio vivo di una Storia perdente ma da non rinnegare. Mai.

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