lunedì 13 maggio 2013

PARABOLE MANCINE: MARIO CORSO

di Gian Maria Campedelli (per seguirci su Facebook clicca QUI)



1971: Corso alla fiera di Bologna,
in "borghese"
(foto: thehistorialist.com)
Le foglie morte cadono a mucchi
come i ricordi e i rimpianti
e il vento del nord le porta via
nella fredda notte dell'oblio.” 

Jacques Prévert scrisse così, e i delicati versi di questa poesia sembrano adagiarsi dolcemente sulla storia che voglio raccontare. Più che una storia, l'omaggio dovuto e sentito ad un uomo dal talento e dall'estro straordinari, ambasciatore di tutti quei giocatori, quei sognatori, quei satanassi del calcio che passano una vita a fare l'amore con il pallone, ma solo con il piede sinistro, il mancino buono, capriccioso.



Mario Corso da San Michele Extra, detto Mariolino, detto Mandrake, detto ancora “Il Sinistro di Dio” è l'artista del gioco che guida, danzando come il più abile ballerino tra il silenzio e il fragore, una delle squadre che più hanno impresso le loro gesta nella Storia del football: l'Inter degli anni Sessanta, quella di Herrera, quella delle Coppe dei Campioni. Un corpo gracile a far da involucro ad una personalità enorme, orgogliosa, ruvida ed estrosa, condita da un talento purissimo. Mariolino nei lineamenti del viso non tradisce il suo essere veneto. Gli occhi piccoli ma vispi, un corpo nervoso, lunghe basette che vanno a morire in una testa con pochi capelli. E poi quell'atipico lato latino, quell'avversione alle troppe regole e alle troppe briglie che limitano il suo genio.

Mariolino e Rivera, simboli contrapposti
di una città e di un'epoca
Mandrake è uomo, personaggio, giocatore. Arriva all'Inter dall'Audace, squadra nella quale milita da giovanissimo, insieme a Da Pozzo e Guglielmoni. Avrebbe dovuto essere quest'ultimo la grande promessa sul quale costruire il futuro dei nerazzurri. Di Claudio Guglielmoni invece nessuno si accorgerà: una partita in tre anni, poi una carriera nelle serie inferiori. Corso, invece, ben presto si imporrà come attore sul palcoscenico del calcio mondiale. Esordisce a diciassette anni, concluderà con oltre cinquecento partite in maglia Inter. Già questo basterebbe a consegnare il suo nome alla Storia. Ma il condizionale è d'obbligo, perché l'ingresso nella leggenda il piccolo veronese lo fa cullato da una parabola, un' inconfondibile parabola che tanto ha contribuito a tramandare la sua aura romantica anche alle generazioni posteriori. I dati non hanno che valore dimostrativo. 

E così Mariolino diventa il re della “foglia morta”: la palla che lenta e beffarda si alza e si abbassa battendo inermi portieri. Il cuoio sistemato sull'erba per decine di punizioni, accarezzato dal piede, il mancino, come un tenero amante fa con la sua bella. Senza farle male, senza sciuparla, Mandrake corrompe il suo carattere burrascoso con l'armonia e la galanteria di un grande innamorato. Una parabola basta e avanza per disegnare anche il corso di una carriera. Che parte dal basso, si alza, va a morire. Con gloria e dignità, fino in fondo.

Corso in maglia Genoa,
stagione 1973-1974,
l'ultima disputata in Serie A

La sua indolenza invece non gli gioverà nella carriera azzurra: scartato per ben tre volte prima di un Campionato del Mondo, verrà ricordato per un irriverente “gesto dell'ombrello” all'indirizzo dell'allora CT Ferrari, dopo un meraviglioso gol alla Cecoslovacchia. Turbolento e consapevole, impavido a scontrarsi sia con Helenio che con Heriberto Herrera, non chinava la testa al cospetto di nessuno, arbitri compresi. Proprio la testa, spelacchiata e aguzza, diventerà l'inusuale e inatteso ultimo punto sul suo meraviglioso testamento d'altri tempi: passato al Genoa dopo l'addio di Angelo Moratti alla presidenza dell'Inter, segna proprio di testa alla sua ex squadra, a Marassi. Quella squadra che, tra dribbling ubriacanti, foglie morte e scatti di vulcanico estro, ha trascinato per molte volte nel tiepido mare della Gloria.



Il Genoa retrocederà in B, siamo già nel 1974, e dopo una stagione fra i cadetti il “Sinistro di Dio” deciderà di prendersi la sua meritata domenica di riposo, smettendo definitivamente i panni di calciatore. Dall'Audace al Genoa, passando attraverso la vetta del mondo e l'essenza del pallone di un tempo, quello in cui le partite si intrecciavano con le storie di tutti i giorni, con le stranezze di un'Italia che lottava e cresceva, ingenua e vivace, permeata di quel calcio genuino in bianco e nero, calcio di cui Mariolino è stato sapiente e appassionato esponente. Fino in fondo, fino all'ultimo elegante tratto di una  incantevole parabola.

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