mercoledì 16 gennaio 2013

ZÈ MARIA-GROSSO, GLI OPPOSTI CHE (SI) ATTRAEVANO

Una legge comune, entrata ormai a far parte in pianta stabile delle credenze della società moderna, vuole che più differenze separino due persone, più esse inevitabilmente sentano il bisogno di cercarsi, d'approfondire questa conoscenza, di capire cosa e perché li divida, di legarsi l'un l'altro. Su questo concetto registi e scrittori hanno fondato le loro fortune, a volte ripetendolo all'infinito, inflazionando quello che, all'alba del 2013, pare ormai diventato un cliché senza fine. Sarebbe altrettanto banale però non trasporre la sfera d'utilizzo di questo pensiero anche ad un'altra arte, quella del football. Lampanti risultavano difatti, prima della modernizzazione degli ultimi anni, quegli equilibri in campo che apparivano a tratti imprescindibili dal concetto di squadra quadrata. Al regista dai piedi buoni si affiancava il temibile fabbro, pronto con accetta in mano e bocca digrignata; alla prima punta dotata di centimetri e fisico ecco associato il più classico dei furetti, rapido e guizzante, dai piedi buoni. Gli ibridi d'oggi giorno hanno cancellato quest'idea forse più legata alla tradizione che al reale esito tattico.
Una coppia però, usciva da ogni vincolo accademico, trascinando il tifoso, esaltandolo.
Emozioni miste a contemplazione, parallelismi soggettivi che cullavano il fanatico romantico, facendolo sentire speciale.


Sto parlando del caso del sottile filo rosso che, circa una decade fa, legava sul prato del Renato Curi due terzini, a modo loro scrittori della storia del nostro calcio. Fabio Grosso e Zè Maria, Zè Maria e Fabio Grosso.
Chiudiamo gli occhi per un attimo. Ci troviamo in mezzo agli "Ingrifati", siamo nella curva nord perugina ad inizio ventunesimo secolo. Pioggia battente, il duro suolo sotto le scarpe, cori veloci, goliardici, che ben si confanno a questa massa di giovani umbri ammaliati dalle giocate di un Fabrizio Miccoli agli albori. La pioggia diventa incessante. Lo sguardo, tra un battimani ed un boato ad un fischio mancato, però, non si fissa sul Romario del Salento. C'è qualcosa di più affascinante in campo. L'acquazzone involontariamente, per chi non crede negli dei del calcio, ha creato un'enorme macchia d'acqua lungo tutta la parte centrale del rettangolo di gioco. Pare una miniatura d'un oceano. Quello che separa un giovane lungagnone dalla corsa modulare, quasi sgraziata, cha fa tutto con il sinistro, da un minuto uomo di colore, caratterizzato dalla chioma gialla che risalta su quella maglia rossa ormai diventata color fango. Presidiano le fasce in modo differente i due. Il primo riassume nel suo metro e novanta il concetto di perentorietà. La falcata ciclica, le gambe infinite. Quel mancino delizioso per mezzo del quale, il ragazzo cresciuto in neroverde a Chieti, farà sognare milioni d'italiani pochi anni dopo. Sulla destra invece un clinic tecnico con il 2 sulle spalle. Brasiliano dal passato turbolento in patria, cambi di maglia continui, simili alle sue perpetue sventagliate, senza il minimo sforzo. Divisi da tutto, uniti dal calcio di Serse Cosmi. Hanno gamba i due opposti, macinano chilometri e la mettono in mezzo come pochi prima di quel momento. Se al posto di un acerbo Caracciolo e di un mestierante Vryzas ci fosse stato qualcun altro, chissà, magari quelle dolci palle a girare si sarebbero insaccate con maggiore continuità. Conta poco però l'esito finale. Il sinistro e il destro che vibrano, in un movimento dolce e potente allo stesso tempo, due armi sempre cariche, pronte a tracciare scie nell'aere perugino, pronte ad umanizzare quel grifone disegnato sulla bianca palla, a farlo volare, a dargli vita con i loro scarpini.
Differenti ma simili, due mondi diversi che convergono sotto gli occhi del patron Gaucci.
Simboli intramontabili di tempi passati per la gloriosa compagine umbra, incanalati su due binari apparentamenti inconciliabili, ma sempre vicinissimi, in una continua composizione d'alti e bassi, ai limiti della sinfonia, a formare un meccanismo visivo perfetto.
Opposti, opposti più che mai, opposti che hanno attratto l'immaginario comune. Il 2 e l'11, la scritta "Toyota" sulle loro maglie. Stralci di un passato impossibile da dimenticare, pure dichiarazioni d'immortalità.



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